Economia

Le ong alle prese con l’enigma hamas

Cooperazione. Problemi vecchi e nuovi nel racconto degli operatori

di Carlotta Jesi

Fuorilegge e, al tempo stesso, democraticamente eletta. Questa è, oggi, Hamas per le non profit impegnate in Palestina. Cinquanta sigle, tra ong e associazioni, costrette a fare i conti con un paradosso. Quello di un?organizzazione considerata criminale e illegale dalla comunità internazionale che, al tempo stesso, siede nel governo di molte municipalità palestinesi. Democraticamente eletta nelle consultazioni amministrative che hanno preso avvio nel 2004 e, secondo alcuni, destinata a vincere anche le politiche del 25 gennaio. Che fare quando la si incontra? Meglio evitarla, sfuggirla? «Impossibile», spiega Sergio Bassoli, coordinatore della piattaforma Palestina dell?Associazione delle ong italiane. «Nei comuni dove ha la maggioranza, come Nablus, ma anche in quelli intorno a Ramallah e nella stessa Betlemme: quando ti trovi a programmare un intervento socio-sanitario, per esempio in un ambulatorio di proprietà della municipalità, l?incontro è inevitabile». E, paradossalmente, reso ancora più difficile dall?apertura che Hamas dimostra nei confronti della società civile internazionale. «Un?apertura strumentale, intendiamoci», precisa Bassoli, «quando era un soggetto non governativo, non ha mai trasmesso una proposta di cooperazione alle ong italiane. Oggi, invece, che agisce come amministrazione locale, si presenta dialogante e non pone alcun condizionamento». Rafforzando il dubbio sul modo migliore per gestire i rapporti con i suoi esponenti. Le ong italiane hanno trasformato questo dubbio in una domanda formale a Cairo Arafat, la responsabile della cooperazione per l?Autorità palestinese. «Che facciamo se dobbiamo operare in un?amministrazione diretta da Hamas?», le hanno chiesto. E lei, spiega Bassoli, ha risposto così: «Tutti ci fanno questa domanda: se sono stati eletti democraticamente, occorre operare in un quadro di legalità». Una risposta comune, di questi tempi: «Anche chi non appartiene ad Hamas, di fronte a domande come queste, che legge come attacchi, risponde facendo quadrato sulla sovranità nazionale dei cittadini e sul loro diritto di scelta. I partner locali ci ricordano che siamo qui per cooperare e non per imporre il nostro parere». Finora, le ong hanno cercato di barcamenarsi gestendo gli incontri con Hamas di volta in volta, senza una linea precisa. Ma che succederà se davvero, come temono alcuni, l?organizzazione dovesse vincere le prossime elezioni politiche? Difficile fare previsioni. Di certo c?è che il contatto con Hamas non sarebbe più sporadico, né a livello decentrato. Di più: «Il governo diventerebbe espressione di questa forza politica e cambierebbero tutti i nostri interlocutori: di sicuro non vedo possibile una partnership tra le ong italiane e un soggetto politico e sociale come Hamas», spiega Bassoli, precisando che il risultato delle prossime elezioni non è l?unico cruccio della società civile italiana di stanza in Palestina. C?è n?è uno più urgente, e più pratico: i visti. Al personale espatriato delle cinquanta sigle italiane che operano nel Paese, oggi viene rilasciato solo un visto turistico che dura massimo 30 giorni. Da qui la scelta cui sono costretti cooperanti e volontari ogni volta che entrano in Palestina: mentire ai soldati dei checkpoint dicendo che sono turisti o dichiarare di essere in missione umanitaria, coi rischi che ciò comporta, senza avere i documenti per provarlo. Risultato: cooperanti e volontari possono essere fermati per accertamenti o anche respinti, a discrezione del comandante del checkpoint che attraversano. Un problema su cui l?Associazione delle ong italiane ha deciso di sensibilizzare i palestinesi. Ma è anche ?in casa? che la società civile italiana deve lavorare per rendere il suo intervento in Palestina sempre più efficace ed efficiente: «È necessario», dice Bassoli, «un maggior coordinamento del sistema Italia che opera nella regione, ossia del governo, delle ong e degli enti locali impegnati sul territorio». Il modo migliore per riuscirci? Bassoli non ha dubbi: «Proponiamo di dar vita a un tavolo di coordinamento permanente tra la Farnesina, le ong e la cooperazione decentrata. Servirà a condividere competenze e a programmare un?azione comune».


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